Wolf Larsen e le sue mani mortali.
Generalmente quando parliamo di forza, che sia essa generica o specifica (come quella delle mani nel caso di Gripebenditalia) la collochiamo sempre in un contesto sportivo e di amicizia. Una dura sessione di bending, grippers e braccio di ferro viene sempre seguita da quattro chiacchiere i buona compagnia e qualche genuina birra. Però non possiamo negare di essere affascinati da quello che è invece il lato oscuro della forza. Non parlo di Star Wars ma della realtà, e negare questa cosa sarebbe pura ipocrisia, perché è nella natura umana essere affascinati da ciò che è proibito, da ciò che è pericoloso o comunque non convenzionale.
Questo concetto viene pienamente espresso da Jack London, scrittore statunitense attivo tra fine Ottocento e inizio Novecento, autore di celebri romanzi come Zanna Bianca, Il Richiamo della Foresta, Martin Eden e il Tallone di Ferro. Jack London è nato nel 1876 a San Francisco e fin da giovane ha mostrato la sua personalità dinamica: da giornalista a cacciatore di foche, da scrittore a pugile. Tante storie diverse con protagonisti diversi, ma una peculiarità resta: il culto della forza! Nei romanzi di Jack London la forza rimane sempre una costante, nei protagonisti e/o antagonisti viene mostrata nella sua purezza, senza fronzoli ne altro, soltanto come pura energia sprigionata dal corpo in grado di compiere azioni ritenute impossibili o comunque particolarmente difficili. Il suo pensiero come dire “nietzschiano” viene pienamente rappresentato nella sua opera “La forza dei forti (The strength of the strong, 1911) anche se nell’aspetto psicologico arriva all’apice sette anni prima in “Lupo di Mare”.
In breve (a chiunque sia interessato consiglio vivamente di leggere il romanzo) l’intera vicenda si svolge su una goletta nei mari del nord, dove il protagonista Humphrey Van Weyden, uno scrittore e recensore dal carattere delicato e l’animo sensibile si trova a dover combattere per la sua sopravvivenza. Al lato opposto abbiamo il comandante Wolf Larsen, un uomo sociopatico fatto di puro istinto e… pura forza. La forza di Wolf Larsen viene descritta come cosa primordiale e il lettore non può che rimanerne affascinato da questo. Ed è questo che Jack London vuole, perché lui è un vero cultore della forza, e la sua intenzione nel rendere palese questo sentimento ha successo, tanto da far diventare Larsen il vero protagonista della storia. Lo stesso Van Weyden (che a differenza di Larsen antepone la ragione alla violenza e il dialogo alla forza) resta affascinato dal capitano e soprattutto dalla sua forza. Due mondi diversi messi in comune dall’intelligenza e dalla cultura di entrambi. Il capitano è difatti non solo estremamente forte, ma anche molto intelligente, soprattutto nella scienza, matematica e psicologia e da tutto ciò trae i concetti pratici che gli permettono – insieme alla sua immensa forza – di poter godere fino all’ultimo del fermento della vita e di ciò che è realmente tangibile. In ogni caso non siamo qui per parlare degli aspetti psicologici del romanzo (che veramente consiglio a chiunque di leggere) ma della pura forza. La forza come avrete capito nei romanzi di London non ha una connotazione positiva come intendiamo noi, non si parla di amicizia e sportività, ma di sopravvivenza, legge del più forte, Darwinismo sociale e puro istinto animale. Ma, ripetendomi, dico che la cosa non può comunque non affascinarci, è e sarà sempre impossibile per gente come noi rimanere immune, che fa della forza una passione pura sotto ogni aspetto. Nel romanzo i suoi gesti di forza sono innumerevoli, sia forza fisica che ferrea forza di volontà, ma in particolare una scena esprime al cento per cento l’essenza vera della sua forza… della forza delle sue mani.
Durante un’animata discussione sulla vita – naturalmente – avevo preso tanto ardire da esprimere la mia più schietta opinione su Wolf Larsen, e il suo tenore di vita. Lo stavo vivisezionando e frugando nei tessuti della sua anima con fervore, compiutamente, come egli soleva fare con gli altri. Buttai al vento ogni ritegno, lo tagliai e squartai, finché il mio interlocutore di fece nero. Vidi in lui un lupo, e infuriato per giunta, Mi si avventò contro e mi afferrò un braccio. M’ero imposto di sostenere la burrasca, ma l’enorme forza di costui fu troppa per il mio animo, mi afferrò il braccio all’altezza del bicipite, con una sola mano, e la sua stretta si serrò. La terra mi mancò sotto i piedi… mi sentivo morire.
Il giorno dopo avevo il braccio stecchito, come paralizzato, e passarono giorni prima che potessi tornare a servirmene, e dire che non aveva fatto altro che afferrare il braccio e serrare la sua mano. Senza scuotere, senza torcere, solo serrare…
Un giorno fece capolino in cucina e in segno di rinnovata amicizia mi chiese come stava il braccio. “Poteva andare peggio…” mi disse e sorrise. Stavo sbucciando le patate, ne prese una dal cesto, una di belle proporzioni, solida e non ancora sbucciata. Chiuse la mano sopra, serrò… e la polpa schizzò tra le dita. Gettò nel cesto quel che rimase e se ne andò, lasciandomi una nozione molto precisa di quanto avrebbe potuto farmi se quel mostro avesse esercitato su di me tutta la forza delle sue mani.
Non rimane molto da dire, anche perché per noi cultori della forza London rimane a mio avviso un artista da leggere, in particolare Lupo di Mare, dove la forza trova la sua espressione ad un livello che va molto oltre il fisico, oltre allo psicologico, dandoci quasi una risposta al perché per noi è e sarà sempre quasi un’ossessione.
Nick Greppi
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The strength in Jack London’s literature
Wolf Larsen and his mortal hands.
Generally when we talk about strength, whether it is generic or specific (like that of the hands in the case of Gripebenditalia) we always place it in a sporting and friendship context. A tough bending session, grippers and armwrestling is always followed by a chat about the good company and some genuine beer. But we can not deny being fascinated by what is instead the dark side of the strength. I do not speak of Star Wars but of reality, and to deny this thing would be pure hypocrisy, because it is in human nature to be fascinated by what is forbidden, by what is dangerous or unconventional.
This concept is fully expressed by Jack London, a US writer active between the late nineteenth and early twentieth century, author of famous novels such as White Fang, The Call of the Forest, Martin Eden and the Heel of Iron. Jack London was born in 1876 in San Francisco and from an early age he showed his dynamic personality: from journalist to seal hunter, from writer to boxer. Many different stories with different protagonists, but a peculiarity remains: the cult of strength! In the novels of Jack London strength is always a constant, in the protagonists and / or antagonists is shown in its purity, without frills or other, just as pure energy released by the body able to perform actions deemed impossible or otherwise particularly difficult. His thought as saying “Nietzschean” is fully represented in his work “The Strength of the Strong” (1911) even if in the psychological aspect reaches its peak seven years earlier in “Lupo di Mare”.
In short (to anyone interested I strongly recommend reading the novel) the whole affair takes place on a schooner in the northern seas, where the protagonist Humphrey Van Weyden, a writer and reviewer with a delicate character and a sensitive soul having to fight for his survival. On the opposite side we have the commander Wolf Larsen, a sociopathic man made of pure instinct and … pure strength. The strength of Wolf Larsen is described as something primordial and the reader can only be fascinated by this. And this is what Jack London wants, because he is a true lover of strength, and his intention in making this feeling clear has succeeded, so much so that Larsen becomes the true protagonist of the story. The same Van Weyden (who unlike Larsen puts reason behind violence and dialogue with force) remains fascinated by the captain and above all by his strength. Two different worlds shared by the intelligence and culture of both. The captain is not only extremely strong, but also very intelligent, especially in science, mathematics and psychology and from all this he draws the practical concepts that allow him – together with his immense strength – to be able to enjoy the ferment of life until the end and what is really tangible. In any case we are not here to talk about the psychological aspects of the novel (which I really recommend to anyone to read) but of pure strength. The strength as you will have understood in the London novels does not have a positive connotation as we understand it, we do not talk about friendship and sportiness, but about survival, the law of the strongest, social Darwinism and pure animal instinct. But, repeating myself, I say that it can not fail to fascinate us anyway, it is and will always be impossible for people like us to remain immune, which makes strength a pure passion in every respect. In the novel his gestures of force are innumerable, both physical strength and iron willpower, but in particular a scene expresses one hundred percent the true essence of his strength … of the strength of his hands.
During a lively discussion of life – of course – I had taken it so boldly to express my most frank opinion about Wolf Larsen, and his standard of living. I was vivisecting and rummaging in the tissues of his soul with complete fervor, as he used to do with others. I threw away all the restraints in the wind, cut and quartered them, until my interlocutor turned black. I saw a wolf in him, and enraged in addition, He attacked me and grabbed my arm. I had forced myself to support the storm, but the enormous strength of this was too much for my soul, he grabbed my arm at the biceps, with one hand, and his grip tightened. The earth I missed under my feet … I felt like dying.
The next day I had a paralyzed, paralyzed arm, and days passed before I could come back to use it, and say that all he did was grab his arm and tighten his hand. Without shaking, without twisting, just tightening …
One day he peeped into the kitchen and as a sign of renewed friendship asked me how his arm was. “It could have been worse …” he told me and smiled. I was peeling potatoes, took one from the basket, one of beautiful proportions, solid and not yet peeled. He closed his hand on it, clamped it … and the pulp darted between his fingers. He threw what was left in the basket and left, leaving a very precise notion of what he could do to me if that monster had exerted on me all the strength of his hands.
Not much remains to be said, also because for us lovers of the strength London remains in my opinion an artist to read, in particular Lupo di Mare, where the force finds its expression at a level that goes far beyond the physical, in addition to the psychological, giving us almost an answer to why for us it is and will always be almost an obsession.
Nick Greppi
Ciao Andrea grazie mille per il commento e ovviamente un grande grazie a Giorgio per averlo pubblicato e tradotto!
Articolo davvero affascinante! Complimenti Nick, ora rispolvero i capolavori perché la curiosità si fa sempre più forte.
GRAZIE
andrea
Grazie e grande Nick per questo breve ma affascinante racconto,il concetto sulla forza che ne esce è davvero di impatto. Di London molti anni fa lessi solamente “Zanna Bianca”,provvederò a colmare questa lacuna della mia biblioteca. Buona continuazione!